IL FRANCESCO CHE (NON) VORREI
di Marco Marchetti, psicologo esperto in Interventi Assistiti con gli Animali
Profondo dispiacere. È quello che provo tutte le volte che mi imbatto in qualche affermazione di papa Francesco riguardo al ruolo che stanno assumendo gli animali domestici nella vita relazionale delle persone e delle famiglie.
Sembra che il papa guardando un cane o un gatto non riesca a vedere altro che degli “usurpatori” che occupano un posto e uno spazio fisico, mentale ed affettivo che non è loro e che dovrebbe invece essere riservato ad altri individui umani, e nello specifico ai figli.
E così facendo papa Francesco riesce a mettere in contrapposizione due elementi che invece il più delle volte sono magicamente in sintonia: gli animali e i bambini
Francesco finisce così per assomigliare ad un nonno intollerante di altri tempi che non sopporta la presenza dell’animale in casa e ogni volta che vede un membro della propria famiglia avvicinarsi ad uno di loro lo rimprovera intimandogli di lasciarlo fuori dalla porta.
E probabilmente non si rende nemmeno conto del dolore che provoca ai suoi stessi familiari, che invece vedono in quell’animale tutt’altro che un impostore. Loro ci vedono un individuo unico, dotato di acuta intelligenza e spiccata sensibilità, empatico, capace di donare loro affetto senza mai giudicarli, ma anche spensieratezza e voglia di vivere; un individuo capace di offrire conforto e vicinanza a chi si sente solo e incompreso nel proprio dolore, spesso isolato dai suoi stessi simili; un individuo bisognoso di cure e meritevole di rispetto.
Peccato che però qui non si tratti del “nonno specista” (a cui peraltro io personalmente sono molto affezionato, sia chiaro!) bensì della massima guida spirituale del vasto mondo cattolico, le cui parole hanno un peso e un’influenza e legittimano molte persone ad adottare questo o quell’atteggiamento nei confronti del prossimo.
Pertanto le posizioni del papa sulla presenza degli animali nelle famiglie sono a mio avviso fuorvianti e ingiuste, basate su assunti sbagliati.
La relazione con un animale domestico non può essere grossolanamente classificata come una sorta di “perversione sociale” che confligge con il desiderio di maternità o di paternità.
Quella dell’antropomorfizzazione dell’animale è certamente una deriva relazionale che non porta beneficio né all’uomo né tantomeno all’animale, a cui viene revocata la propria “animalita’” e si vede costretto in un ruolo che non è il suo.
Gli animali non sono “bambini”, e non dovrebbero essere trattati come tali, su questo siamo d’accordo.
Sta di fatto che la maggior parte delle relazioni uomo-animale (o sarebbe più corretto dire uomo e “altri animali”) esistenti nelle famiglie italiane sono invece relazioni sane e non patologiche.
Ed è profondamente sbagliato leggere la loro diffusione ed espansione anche prospettica come un fenomeno preoccupante.
Al contrario, in una società sempre più indifferente e frenetica, votata al consumo e alla prestazione, la relazione con gli animali ci sta paradossalmente aiutando a preservare la nostra “umanità”, nel senso migliore che questo termine può avere: quello del riuscire a “vedere” l’altro, accoglierlo, comprenderlo nei suoi bisogni e nel suo linguaggio, concedergli i suoi spazi e i suoi tempi, rispettarlo e amarlo, anche e soprattutto nella sua diversità.
La relazione con l’animale ha un immenso potenziale educativo e trasformativo, è in grado di aprirci a nuove prospettive e a nuovi modi (non solo di tipo strumentale o utilitaristico) di intendere la vita e la relazione con l’altro.
Gli animali infatti sono fratelli da cui possiamo imparare moltissimo. Soggetti e non oggetti. Amici, non strumenti da usare o merce da consumare.
Invece, se c’è una cosa che ha contribuito pesantemente a guastare la nostra relazione con gli animali, quella è stata proprio la cultura cattolica fortemente impregnata di antropocentrismo, che ha la grave responsabilità di aver legittimato e radicato in noi l’idea che possiamo disporre di ogni animale esistente su questa terra e farne ciò che vogliamo, dato che si tratterebbe di “esseri inferiori”, privi di intelligenza e soprattutto di anima, che Dio avrebbe creato unicamente in funzione dell’uomo.
Perciò a mio avviso gli animali meriterebbero oggi non il biasimo bensì le scuse della Chiesa Cattolica!
La relazione con l’animale può peraltro condurci a vivere in modo più profondo e autentico la nostra spiritualità. E questa è fortunatamente cosa nota a molti mistici della storia dell’Occidente e ancor più dell’Oriente.
Gli animali infatti sono anime pure, veri e propri maestri spirituali che soltanto per questa ragione non hanno bisogno di essere benedetti.
Insomma, la relazione con l’animale non ci toglie nulla, ma anzi ci arricchisce, umanamente e spiritualmente.
Il suo valore inestimabile rimane tuttavia molto difficile da spiegare, quindi l’unico modo per comprenderlo appieno è quello di sperimentarlo direttamente su se stessi almeno una volta.
Chi nella vita non ha avuto la fortuna di amare ed essere amato da un (altro) animale è semplicemente più povero.
Marco Marchetti
psicologo esperto in Interventi Assistiti con gli Animali